indifferenza

Capita di attraversare il mondo con occhio straniero. Straniero alla vita. Con il cuore in un altrove che non sappiamo dire, non perché ci manchino le parole, ma perché anche quell’altrove non vediamo.
Di camminare fra nomi che non ci evocano storie, perché non ricordiamo i nomi, e non ascoltiamo le storie. Di non riconoscere nulla che abbia valore, a partire da noi, a partire da noi. Nessun messaggio da raccogliere. Né lettere da inviare. Nessun dolore da sentire, nessuna simpatia da assecondare.
Da dove si ricomincia? Come scassinare la nostra chiusa vicenda di solitari, malinconici passeggeri per caso, per sbaglio.
Bisogna educare bambini e ragazzi e adulti e anziani, un mondo intero che avanzi pretese sulla nostra indifferenza. Che vanti il diritto di imporsi al nostro passare oltre. Di costringerci a salvare la loro unica vita. Che si aggrappi alle nostre mani e si faccia accogliere e accudire.
Strapparsi gli uni gli altri all’indifferenza diventando profeti che gridano e ci consegnano al dovere di salvarli, di salvarci. Un vedere, finalmente, che ci soddisfa lo spirito e anche le mani. Essere al proprio posto, fra persone di cui sappiamo raccontare le storie perché sono anche la nostra storia.
Avvenire, 13 aprile 2012

desiderio

C’è un’età in cui il desiderio è moltitudine, confuso, scomposto, un campo di battaglia in cui tutti gli schieramenti hanno ragione, perché sono vita da sdipanare in direzioni tutte ancora possibili, e da percorrere in parte e poi lasciare e poi ancora percorrere. Diventeranno progetti, creazione, vita.
Una specie di trasumanare del desiderio, un superare l’umano limite, che ci porta oltre le nostre forze, e non sappiamo come ma è possibile più del nostro possibile.
In questa stagione il desiderio è vita pura, ancora sconosciuta vita. Perché ha la furia dell’interrogare, non si rassegna all’ovvio, non sa credere che la vita è tutta qui.
Gli occhi fissi a un possibile che non ha orizzonte, l’appartenere ad altro che non è il nostro limite. Non sopporta l’oltraggio della ragionevolezza.
È sempre potente. Non c’è alleato più fidato per il nostro buon agire, se ha speranza.
Il desiderio giovane muore quando la speranza viene scippata da generazioni che non hanno creduto in un futuro da consegnare ai figli, oppure se si estenua nel sognare l’impossibile, l’abbaglio di un successo che non ci conquistiamo con l’impegno dei nostri talenti l’un l’altro riconosciuti.
La dissipazione del desiderio giovane è il nostro male e la nostra condanna.
Avvenire, 12 aprile 2012

rimpianto

Di non aver detto. Di aver urlato i fatti senza conoscere le ragioni. Di non aver creduto o di aver dissipato il credere d’altri. In noi. Il credere in noi. Di aver giurato, promesso, glissato. Governato una vita prudente, in cui ogni natività prometteva uno sconquasso e non è stato difficile trovare silenziosi Erodi in ogni tempo, nostri compagni di omissione. Di aver pensato male, incatenati a un sentire comune che sa per comune ignoranza.
Di non essere stati abbastanza vivi ogni giorno.
Di non aver confessato a nessuno mai il nostro desiderio. Di aver mentito raccontandoci di non aver visto il desiderio degli altri. Né il bisogno.
E non aver cantato mai nessun canto, per paura, superbia, pigrizia. In difesa noi, per gli altri offesa.
Sobbalzare ad ogni affiorare di figura dall’indistinto dell’ombra. Senza saper davvero piangere. E immaginare di poter credere che questo sia forza, concreto tenere i confini del mondo. Tutto intero, colonne a noi stessi.
Ed esser grati al rimpianto, che di colpo ci riconsegna al giorno che viviamo, al riaffiorare non di tutte le possibilità, ma di questa presente, al bene da prendere e dare. A tutto ciò che potremo portare con noi, senza più paura di guardare quel che è stato.
Avvenire, 11 aprile 2012

delusione

La delusione arriva lenta. Si insinua e striscia. Non la sentiamo e poi è lì. Ce la dà l’altro. Gli altri. Tanti. Non mi hanno guardato, detto. Non hanno capito. Ascoltato. Non hanno intuito. Nessuno ha visto. E io a sperare, anticipare. Che venga qualcuno. Che mi telefoni. Mi dica le parole che ho immaginato. Così semplici, limpide nella mia fantasia.
E invece no, silenzio. E diventa tumulto il pensiero.
E la pace che non sa arrivare più, delusione come ossessione di uno sguardo ormai solo su di me, ormai sfida allo sguardo dell’altro, infinito attendere sempre più cattivo, e doloroso, e tremendo nel suo implacabile bisogno.
Come può il mondo non accorgersi? Che il respiro è corto, non va oltre la mia frontiera, confine murato, come usa oggi in terre già rese deserto.
Chi sto deludendo oggi, nella mia vita chiusa, stamattina, prima ancora di non fare, non dire, non vedere? Qualcuno di cui so il
nome e diminutivo, inchiodato all’attesa, fosse pure di una parola chiara, che finalmente chiude un
sogno che non era nato davvero, e può lasciare spazio a un altro che non si conosce ancora.
C’è un potere triste nel deludere, un promettere più di quel che si può, un dire meno di quel che si deve. Un trattenere la parola e il gesto che sul campo lascia solo vinti.
Avvenire, 10 aprile 2012