indifferenza

Capita di attraversare il mondo con occhio straniero. Straniero alla vita. Con il cuore in un altrove che non sappiamo dire, non perché ci manchino le parole, ma perché anche quell’altrove non vediamo.
Di camminare fra nomi che non ci evocano storie, perché non ricordiamo i nomi, e non ascoltiamo le storie. Di non riconoscere nulla che abbia valore, a partire da noi, a partire da noi. Nessun messaggio da raccogliere. Né lettere da inviare. Nessun dolore da sentire, nessuna simpatia da assecondare.
Da dove si ricomincia? Come scassinare la nostra chiusa vicenda di solitari, malinconici passeggeri per caso, per sbaglio.
Bisogna educare bambini e ragazzi e adulti e anziani, un mondo intero che avanzi pretese sulla nostra indifferenza. Che vanti il diritto di imporsi al nostro passare oltre. Di costringerci a salvare la loro unica vita. Che si aggrappi alle nostre mani e si faccia accogliere e accudire.
Strapparsi gli uni gli altri all’indifferenza diventando profeti che gridano e ci consegnano al dovere di salvarli, di salvarci. Un vedere, finalmente, che ci soddisfa lo spirito e anche le mani. Essere al proprio posto, fra persone di cui sappiamo raccontare le storie perché sono anche la nostra storia.
Avvenire, 13 aprile 2012
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