Oggi c’è scuola

Oggi c’è scuola

il nuovo libro

La scuola è stata a lungo capro espiatorio per ogni genere di problema e laboratorio di riforme ampiamente peggiorative ed è tempo di cambiare registro. Di darle risorse, per migliorare gli edifici e motivare gli insegnanti. Di darle spazio, portandola nei parchi, nei musei, nei centri delle città. Di darle tempo, quello di un dialogo con le istituzioni, con le famiglie, con i ragazzi, dialogo che era mancato o si era interrotto da ben prima della pandemia.

Mariapia Veladiano scrive pagine alla scuola più ancora che sulla scuola: in questo libro critico ma affettuoso la chiama a ritrovare una dimensione più egualitaria, più efficiente, più giusta. Disegna con proposte concrete un possibile percorso e una filosofia della ricostruzione per un’istituzione che può rinascere. Perché quest’anno non basta cominciare la scuola. Bisogna ricominciare dalla scuola.

La scuola riparte. Ma migliorarla è una necessità
Due saggi di Mariapia Veladiano e delle docenti universitarie Porro e Lomiento
Roberto Carnero

Che anno scolastico sarà quello che sta per cominciare? La risposta non è scontata. Aleggia soprattutto una speranza: che possa essere un anno il più possibile ‘normale’. Si sta provando a ricominciare la scuola così come deve essere, cioè tutti in presenza. Non c’è dubbio, tuttavia, che la pandemia abbia segnato in profondità il mondo scolastico, e che molte cose in futuro verranno fatte in modo diverso da come si facevano prima.

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Pensiamo anche solo al tema del digitale applicato alla didattica. Si è fatta di necessità virtù, sulla spinta dell’emergenza, ma i docenti hanno imparato nuove modalità di insegnamento, che rimarranno preziose, anche solo in vista di una migliore capacità di inclusione. Un pensiero per tornare, ricostruire, cambiare: è il sottotitolo del nuovo saggio di Mariapia Veladiano, da oggi in libreria: Oggi c’è scuola (Solferino, pagine 160, euro 12,90).

Scrive l’autrice: «Il Covid ha rovesciato dal trono dell’inconsapevolezza i privilegiati e ha scaraventato ancora più in basso i già poveri. Più poveri di lavoro, di denaro, di cultura. La scuola non può aggiustare il mondo ma può assumersi almeno due compiti molto precisi. Il primo, prendere in carico la nuova disuguaglianza che si è creata nella preparazione a causa del Covid. Il secondo, sostenere nei ragazzi questa nuova consapevolezza e fornire chiavi di lettura e strumenti culturali per poter riparare la parte di mondo che governeranno, in cui abiteranno, in un tempo non così lontano».

Ma la pandemia che ha costretto alla didattica a distanza ci ha fatto riscoprire l’assoluta necessità delle scuole e la loro bellezza. ‘Bellezza’, dice Veladiano, anche se l’edilizia scolastica spesso è brutta e fatiscente. Da donna innamorata della scuola (prima insegnante, poi preside) per il suo ruolo culturale, ma soprattutto per quello sociale e civile (che sono poi la stessa cosa), con dati e numeri alla mano, Veladiano traccia la sua idea di scuola: democratica e al tempo stesso rigorosa, centrata sulle cose fondamentali, aliena da quella burocrazia che oggi invece molte volte tende a soffocarla. Nelle ultime pagine del volume, l’autrice propone un suo ‘cahier de doléances’ con l’elenco delle cose da fare per una «(non)riforma» della scuola italiana. Dice «(non)riforma» perché di riforme di facciata, spesso a costo zero, negli anni ne abbiamo avute troppe. Dunque bisogna provare a ripensare la scuola in un altro modo: più concreto, meno velleitario, coinvolgendo chi la scuola la fa, cioè gli insegnanti, e valorizzando finalmente la loro professionalità trascurata e mortificata.

«Serve una scuola di altissimo livello, ma non elitaria», scrive ancora Veladiano. Accusa, quella di elitarismo, a volte mossa (non da lei) a una scuola in particolare, il liceo classico. Un pregiudizio smentito invece da Liana Lomiento e Antonietta Porro, entrambe docenti di Lingua e letteratura greca (la prima all’Università di Urbino, la seconda alla Cattolica di Milano) nel loro libro Liceo classico, un futuro per tutti (Carocci, pagine 112, euro 12), che esce anch’esso oggi e in cui sono raccolte 20 interviste ad altrettanti «ex alunni eccellenti» appartenenti ai mondi più vari: tra gli altri, Stefano Boeri, monsignor Mario Enrico Delpini, Nadia Fusini, Massimo Gramellini, Enrico Letta, Giuseppe Lupo, Paola Mastrocola, Luca Ricolfi, Luciano Violante.

Le diverse risposte convergono nell’affermare l’attualità di questo indirizzo di studi apparentemente vòlto al passato, ma insuperabile nel favorire nei ragazzi lo sviluppo di una capacità di analisi e di uno spirito critico che tornano poi utilissimi in qualsiasi àmbito di studi e in qualsivoglia campo professionale. Tutto rose e fiori, dunque? Neanche per sogno. Nella loro bella, appassionata introduzione le curatrici del volume riconoscono le ‘virtù’ ma anche i ‘vizi’ del liceo classico. E propongono alcune linee di miglioramento della sua offerta formativa. Per esempio bisognerebbe comprendere come l’esercizio della traduzione non sia il fine ultimo, ma uno strumento. Ma anche che non ha senso contrapporre lo studio della grammatica delle lingue classiche a quello delle relative civiltà.

Per utilizzare le lucide parole dell’arcivescovo di Milano, monsignor Delpini, «gli studi classici, e il liceo classico in particolare, possono rivelare al meglio la loro attualità se diventa più evidente e condiviso il loro contributo alla cultura, all’educazione degli adolescenti, alla resistenza critica alle seduzioni del paradigma tecnocratico, denunciato da papa Francesco nella Laudato si’».

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