gioia

A volte la vita trabocca. Su di noi, con noi, attraverso di noi. Allora arriva la gioia, che ci prende e ci solleva in alto, sguardo largo sul mondo, sopra la fatica, che certamente o forse ritroveremo, ma sarà parte del nostro camminare, non avrà più il peso del tutto. Non sempre si vede da dove arriva, può essere un lampo, vita che illumina altra vita, oppure un lento costruirsi di minuscoli eventi, parole date e ricevute, attenzioni, incontri che non manchiamo, risposte dalle quali non scappiamo. E l’ultimo di questi frammenti, per caso, senza apparire in alcun modo, ricompone la nostra storia.
Improvvisamente la vita basta a se stessa, non c’è attesa vaga di un oltre. Un nascere nuovo che non sa la sua ragione ma sa di aver valore. Non una qualsiasi felicità d’ombra e polvere, come ci capita di vivere, intravvedendo già il suo confine. Magari cercata, inseguita e poi scappata. C’è una gioia che non ha prima e dopo. Non ricorda nulla della pena dei giorni, ma solo, per lo spazio di quello sguardo largo sul mondo, solo l’incanto di esser parte di una cosa buona. Molto buona. Sentire che tutto può essere coltivato, come una vita appena nata.
La gioia è scoprirsi parte della creazione. Creatori anche noi.
Avvenire, 8 aprile 2012

coraggio

È un corrispondere che non si conosceva prima. Ci sorprende. Un essere che non ci appartiene ma ci possiede e ci porta dove non sapevamo di poter andare. Non conoscevamo nemmeno il dove. Improvvisamente l’altro, la sua vita per noi ora vista, vicina, nostra, diventa purissimo esistere, assoluto che ci solleva dalla comune, forse opaca confusione del nostro spirito, fuori di noi malgrado noi. Non in fuga, ma qui, sul nostro unico presente, irrinunciabile esserci senza che la coscienza eserciti il suo fustigare estraneo. E non c’è peso nell’impensato assecondare la vita che ci investe e ci porta, santo dimenticarci del nostro tremare dello spirito prima che del corpo. Certo si può sprofondare, insieme, in questo afferrarsi le mani. O riemergere, l’uno, o l’altro o tutti e due. Comunque nuovi nel continuare la vita, e anche nel lasciarla, per regalarla, atto divino, che divinamente ci viene dato di fare.
E poi c’è un coraggio quotidiano e solitario, minuto e muto resistere, al dolore o al più triste abbandono, o all’usura della speranza, e del desiderio, e dei giorni. E questo resistere è la condanna di chi non lo vede e passa oltre.
Certo che non ce lo possiamo dare il coraggio. Ce lo regaliamo l’un l’altro.
Avvenire, 7 aprile 2012

giudicare

Mi piacerebbe pensare che mai mi capiterà di non fare quel che dovrei fare e invece non posso pensarlo perché so che è troppo facile qui alla finestra protetta del mio affaccio luminoso sulla piazza delle Erbe, pulita e senza uomini, bambini e donne in pericolo ma chissà se penserei gli stessi pensieri con il suolo che si apre e il mondo che si rovescia oppure semplicemente con l’anima squarciata da un’offesa che non immaginavo.
Eppure, penso, si deve credere che dobbiamo provare, e provare e provare e coltivare la fede che possiamo essere quel che dobbiamo, in nome dell’altro e perché pareti sottili, molto sottili ci dividono dalla vita e dalla morte di chi ci sta accanto. Eppure capisco che si può non farlo. Per nascondere una cosa, piccola cosa, o per paura o perché il mio spirito si è incagliato per un momento, solo un momento. E allora penso che bisogna non lasciar perdere nulla, punire certo per quel che offende la vita mia e di tutti, ma soprattutto capire e capire e capire come questo può capitare e coltivare un mondo in cui possa capitare poco, pochissimo. E penso che il mare di tremende parole che tutti i giorni diciamo, e di tempo che sprechiamo a dir male, ci può sommergere. Che il giudizio è la nostra morte anticipata.

Avvenire, 6 maggio 2012

paura

Per paura la vita diventa un camminare sghembo. Scarto improvviso per non sfiorare il prossimo che rimane sconosciuto.
E scappare di sguardi con la paura al centro e tutto il mondo a confine. Incrociarsi in difesa senza incontrarsi.
Rinunciare al nuovo. Quiete che si cerca con affanno, a testa bassa, in un pensare inconsapevole e perpetuo a tessere fughe, da loro, da noi, da quel che potremmo avere e da quel che abbiamo.
Forse non perderemo un amore, perché non ci siamo fermati a viverlo. Forse l’unico incontro che ci raggiunge, e a cui scegliamo di non dedicarci, ci lascia graffi che fanno poco male e così scansiamo qualche ferita in questo calcare pesante il mondo. In fuga.
Serrare il pensiero senza la leggerezza curiosa degli occhi che vedono. Non sentire lo sciame dei sentimenti che ci moltiplica nelle vite di tanti. E le vite che ci toccano quel che basta per sentirle un po’ nostre. Meravigliosa umanità comune che la paura lascia per noi molesta e stridente.
Per paura si abbandona la battaglia buona del nostro bene. La relazione che ci fa persone, viste e riconosciute.
Si rinuncia a capire. Ci si separa. Si uccide. Ci si uccide.
Per paura si muore di paura.
Non aver paura ce lo deve dire un altro.
Insieme è nulla la paura.
Avvenire, 6 aprile 2012