Ogni vita è sorella

Istintivamente ogni vita ci commuove, ci appassiona fino allo spasimo in sua difesa. Siamo rimasti con il respiro sospeso e le mani alzate in preghiera per la vita di Rayan Awram, il bambino di cinque anni caduto in un pozzo a Bab Berrad, nel Nord del Marocco sulle catene montuose del Rif, proprio come quarant’anni fa chi di noi c’era ha passato tre giorni pietrificato davanti alla televisione che in diretta seguiva i tentativi di salvare Alfredino Rampi a Vermicino. Abbiamo pianto per loro. Anche la vita degli animali ci commuove. I social ci catturano con video struggenti di belle persone che si adoperano per salvare animali domestici abbandonati, malati, feriti. Alcune storie sono così emozionanti che ci si sente parte dell’avventura e bisogna arrivare in fondo al video: un lunghissimo massaggio cardiaco fatto con il ditone di un veterinario sul corpicino di un micetto di pochi grammi che non respira, oppure energicamente somministrato a due mani su un puledrino, con il muso lungo della mamma che si protende a pochi centimetri a vedere se il miracolo accade.

C’è verità in questo sentire sorella ogni vita, e lo sappiamo. È la verità di un Creato in cui si sta o si cade insieme, in cui l’amore è uno anche se si declina in modi e con intensità differenti. E poi però noi, gli stessi di prima, facciamo la guerra. Chi ai migranti che ci invadono, chi ai poveri che turbano il decoro, chi al vicino di casa che ci ha sporcato il terrazzino, chi al bambino iperattivo che ci disturba il figlio o il nipote e ritarda il programma. E c’è chi fa la guerra vera, un popolo contro un altro, capita ancora anche nel nostro mondo superbo di diritti e di civiltà. Com’è possibile? In realtà amiamo facilmente le vite che conosciamo, che chiamiamo per nome e di cui possiamo sentire nostre le emozioni. Nel Vangelo, Gesù chiama per nome sempre, sei proprio tu che Dio ama, lui ti conosce, i tuoi capelli sono contati. È la nostra esperienza di credenti questo sentire di essere conosciuti e accolti per come siamo. Ma è anche esperienza umanissima: non faccio la guerra al povero o allo straniero di cui so la storia e i sentimenti, perché lo riconosco, mi riconosco in lui. È ovvio, però, che non possiamo conoscere e amare singolarmente ciascuno, e per questo esistono le leggi morali e anche le leggi nazionali e internazionali: servono a tenere il punto della nostra umanità là dove noi lo perdiamo, perché ci perdiamo nella complessità, nei numeri, nella fatica, nella paura. L’Italia ripudia la guerra. Lo straniero non può essere delinquente in quanto straniero. Le leggi sono chiamate a salvarci da noi stessi e dalle nostre derive egoiste. E se non ci sono o sono deboli, allora scoppia la guerra.

Il futuro oggi sembra affidato a un pensiero non ancora pensato. Come fu la predicazione di Gesù. Circondato da un’attesa bellica, lui predica l’amore per i nemici. Ci consegna il compito di vivere e rendere umana questa vita complicata che ci circonda. Il Regno è qui il Regno è qui, questa vita è una cosa serissima, la possiamo rendere l’inizio della felicità, coerente con la promessa che ogni nascita porta con sé. Nei giorni tutti ancora da vivere di un bambino c’è lo spazio per relazioni non violente, per un’educazione alla cortesia, alla mitezza, alla condivisione. Il pensiero non ancora pensato della buona novella rovesciava la logica della violenza, spuntava gli artigli ai potenti. Serve un pensiero che tenga insieme la cura per ogni vita e la cura per un’empatia diffusa, che si allarghi alle relazioni internazionali. Che lasci stupefatti, come il Vangelo. Che faccia accadere le cose. Come fanno le donne, che fanno accadere la vita. 

Da Messaggero di Sant’Antonio, 16 aprile 2022.

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