fedeltà

Qualcosa si è rotto, irreparabilmente si direbbe. Il temuto è avvenuto, lo hanno visto tutti e tutti ne parlano. E anche se non fosse così, intanto di certo è avvenuto. Indicibile silenzio, attesa spietata di una sera, una settimana, un tempo senza misura come sempre quello dell’abbandono.
A chiedersi se non vuole o non può. Se sono io per caso, errore, ironia. Anche se la differenza è minuscola nel fatto d’esser qui tradita. La freccia è per me, la direzione non lascia traccia, solo la punta di veleno conta alla fine e la sento, con i tre angoli dentro. E mi strappa. Vita strappata. Nessun senso mi è più alleato: troppo aver visto, gli odori portano immagini che squarciano, non si sa per chi cucinare e con chi sedere a tavola, troppa felicità del mondo mi arriva. Non mia, e anche il cielo non piove più ritorni né patti.
Se fosse un delirio, ma c’è vento fresco sulla fronte e la vita è ben salda nel corpo, come se bastasse, come se non fosse ormai l’anima intirizzita di promesse mancate: un figlio, la salute, un lavoro, un amore.
È questa la fedeltà, te la insegno Signore: io ci sono anche se non ci sei, ti sono vicina e ti tengo nel pieno sconvolto del mondo rovesciato, fra chi domanda a ogni incontro: Dov’è Dio? Dov’è?
Io sono qui.
Avvenire, 21 aprile 2012

fede

Come si racconta il sentirsi avvolti da un bene nascosto che non dà spettacolo, non si mostra, si trova a sorpresa dietro l’angolo della solitudine più totale, sa l’arte insolita di ascoltare anche se non ci sono risposte da dare, perché proprio non ci sono, non perché non le si sa dire, e si è appagati, quel che basta per non vivere di bufere e si sente che, anche se non ci capita, si può essere una cosa sola, e così si scioglie la paura in un fare prudente e anche potente perché di questo credere insieme ha bisogno chi è nel bisogno e in nessun caso l’esser scettici li aiuta, ci aiuta, e allora con la schiena dritta in fronte al cielo si è travolti di gratitudine per chi, qui sulla terra, ci ha amato di un amore che ci ha voluto oltre ogni ragionevole conteggio del bene e del male, ci ha tenuto nell’errore e nella passione, ha creduto che una vita screpolata, arroccata sopra strade come gironi, porta una promessa senza misura, così grande che riaffiora e riaffiora malgrado il nostro costruir macerie di cemento e di parole e si può, grazie a questo, dir di sì a tanto, non a tutto, ma a molto: al fallimento, perché so che può non essere finita, alla slavina del tempo e anche alla morte, perché sotto, sopra e intorno ho visto che c’è sempre vita.
Avvenire, 20 aprile 2012

ottimismo

Ma come si fa?
Certo che siamo esperti di vorticosi zapping mentali. Se nell’incauto spazio di una nostra distrazione si affacciano gli occhi troppo grandi di un bambino vivo appena quel che basta per oggi, per ora, niente in più, niente che prometta il domani, figlio d’altri grazieadio, figlio d’altri e non nostro, se capita, allora è un attimo e subito abbiamo millemila provvide incombenze cui pensare e anche più da fare.
Sicuro che una piccola compartecipazione a tempo alle sventure del mondo la possiamo dare, lo spazio del perfido sms solidale: perfido, apotropaico demoniaco comprare la coscienza con euro 1 a volte 2. E poi via. Sia mai che la sventura sia contagiosa. Già ci tocca saperla.
Scappare da mille morti quotidiane per abitare la nostra unica, anticipata, qui a dire che tanto non si può far niente, che la vita è così, che sempre così sarà.
Ma come si fa a non prendere e stringere mani fino a sentir male, guardare fino a far lacrimare gli occhi, come si fa a vivere sapendo.
Sapendo che possiamo celebrare finalmente insieme la diaspora dal nostro egoismo, fare una cosa sola, o anche due, e così scendere dal calvario assurdo di una vita che intanto ci inchioda a esser soli, sordi, ciechi e scontenti.
L’ottimismo è voler resistere al male, comunque.
Avvenire, 19 aprile 2012

tenerezza

Certo che ci si espone. Allarghiamo le braccia per accogliere e il cuore è lì comodo a chi ci pugnala. Sorridiamo e la risata del mondo ci può travolgere cattiva. La mano aperta per carezzare può venire afferrata e i polsi fanno male mentre qualcuno ci spinge contro muro. E il cullare è anche duro, di notte, stremati, con gli occhi già chiusi di fatica.
Ma cosa viene dall’assecondare la seduzione buona di seguire la legge del corpo, consolati per contatto, per contaminazione, passaggio di calore, legge fisica e spirituale del disarmo che smantella la volontà d’offesa, non si uccide chi ci abbraccia. O forse sì, incarnazione, croce, storia della tenerezza di Dio per l’uomo. Ma la tenerezza ci rende giusti. Amati più di quel che ci amiamo. Giudicati per quel che non possiamo e non per quel che facciamo, o siamo.
Desiderio accolto nella forma dell’origine: carezza antica che viene dall’audacia di chi si fida, si affida completamente e non teme abbastanza per sé perché teme molto più per noi. Quanto divina è la tenerezza che si fa scoglio all’offesa, non scappa l’agonia, è leggera e tremenda, non sa di frontiere fra me e te.
E poi la tenerezza è lenta come il tempo del piacere. Come un’eternità che promette pace.
Avvenire, 18 aprile 2012