amore (1)

Si chiama in molti modi.
È il verso di gioia, custodito, silenzioso, di chi vede la prima volta il proprio figlio, tutta la vita tra le mani, Dio che si consegna e noi lo abbiamo fatto, e ora lo vegliamo, e non possiamo chiudere gli occhi mai più, mai più la vita non ci riguarda, tutta intera, senza pareti fra noi e loro. Noi e tutti.
È il lamento di chi scopre l’amore quando vien meno e all’improvviso sa che qualcuno che non c’è più gli ha permesso di diventare quello che è, e lui non l’ha visto finché è stato vicino e ora vede ogni cosa, ora che è assente, per sempre, eppure è possibile continuare perché questo è l’amore di padre e di madre, ci fa vivere restando nascosto, perché è così grande che a mostrarsi intero potrebbe far male e anche piangere va bene, come un profumo che esce da un vaso che si è rotto, e bisognava pur che si rompesse il vaso se la chiusura era così stretta.
E si sa senza cercare che non è amore se si vuol dargli un confine, come non si può dominare la bufera, o anche l’aria, lo spirito, il suono che dilegua, non posso trattenerlo, ma l’ho ascoltato, mi ha cambiato, mi accompagna come piacere, avuto, che rimane sotto altra forma, memoria, emozione, un bambino, qualche volta, un bambino.
Avvenire, 25 aprile 2012
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