ammiccare

Purché il male non si veda. Disposti a tutto. A chiamarlo normale: normale ostentare la ricchezza, normale esibire potere, parole e persone, normale prevaricare, farsi raccomandare, tradire per poter luccicare un momento in tv, sul podio, sul palco, della fiera di paese. E poi negare: la malattia segregata o esibita, e l’età che naturalmente cammina, e poi la morte che ci dice
creature.

E c’è poi un modo oggi fatale di nascondere il male. Raccontarlo per minuto, di dritto e di sguincio, con tendini candidi recisi di netto da mannaie di criminali o da bisturi di anatomopatologi, fra urli e silenzi che ugualmente ci frastornano.
Troppo vedere, per poter non distinguere, ammiccare indecente al nostro essere peggiore. Troppo dentro, troppo frullati per poterlo chiamar per nome il male. Pronti a dire che tutto è male nella notte nera delle nostre responsabilità.
Coltivare col pensiero l’impotenza dell’azione. Come se non ci fosse una possibilità di giustizia, se non di ripararlo almeno di denunciarlo il male, dar voce limpidissima a chi lo subisce, dire che forse è sì vero che non possiamo a volte evitare di dargli principio, ma lo possiamo fermare ogni giorno in noi, chiamarlo per nome e dirgli: «Qui oggi tu non passi, in me, tra noi, non passi».

Avvenire, 13 maggio 2012

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