invidiare

Non si fa mancare nulla di nulla chi invidia. Si occupa di scarpe, automobili, libri, orologi, collane e mariti, o mogli. Livido figurante del potere, visto che non è dio si affatica, si estenua, fa pratica di malvagità su tutto quel che lo circonda, umiliare il mondo per innalzarsi, senza essere nulla in più, troppo infelice e quindi senza misura cattivo. A non perdersi un batter di ciglia, atomizzato in milioni di inutili attenzioni per carpire, sapere, e giudicare, giudicare, giudicare.
Con un effetto distruttivo, su uomini e cose. Su se stesso per primo, segregato nel pensiero, umiliato dalla vergogna di essere sempre lì, senza distacco possibile dal bene degli altri, da corrodere e irridere. E non poter nemmeno travestire di una qualche nobiltà di parola questo peccato impudico che alla fine non può star nascosto.
Carsismo del male che prima a lungo scorre sotterraneo e ci riempie di caverne in cui annegare l’energia che pure abbiamo, potente, nostra, che intanto declina, nell’avvilimento di non portarci ad essere quel che veramente vogliamo, andare liberi, alzar la fronte e dire all’altro con la simpatia di chi si somiglia: «È forte la tua bufera, la possiamo attraversare insieme?».
«Essere uomini e non essere Dio. Questa è la summa. Non c’è altro» (Lutero).

Avvenire, 1 maggio 2012

amore (5)

A volte si perde l’amore. Se ne va come se non ci fosse mai stato, improvvisamente colpiti da indegnità e non si sa raccontare una storia che spieghi: troppo minuto il nostro accudire? Troppo attaccamento, troppo distacco, troppo docili, troppo orgogliosi, troppo irriverenti, deferenti, originali, contraffatti, furtivi, sfacciati, queruli, segreti. Appassionati.
Non ci si crede ed è giusto. Le parole dette, ascoltate, non passano senza cambiare, e quindi dov’è il nostro tessere comune le età che si intrecciano e confondono i ricordi bambini perché l’amore è eterno in avanti e anche indietro e sappiamo che tutto era pronto ad allinearsi fin dal principio, e infatti è capitato proprio a noi così sì questo possiamo raccontarlo. Non la fine di un amore. Per quello non abbiamo le parole.
A volte si inventa un amore per coprire il dolore. Che l’amore sia finito. Che non ci sia mai stato. Che non lo abbiamo coltivato. Scivolato nella distratta virtuosità dei giorni, sbriciolare promesse, non conta nemmeno la disciplina, piccolissime assenze diventano oltraggio, non visti, non sentiti. E poi le attese e nessuno si accorge che intanto finisce. L’amore finisce?
Come si fa, come si fa?
E così tutto dice che l’amore è tutto.
Avvenire, 29 aprile 2012

amore (4)

A volte si perde l’amore. Se ne va come se non ci fosse mai stato, improvvisamente colpiti da indegnità e non si sa raccontare una storia che spieghi: troppo minuto il nostro accudire? Troppo attaccamento, troppo distacco, troppo docili, troppo orgogliosi, troppo irriverenti, deferenti, originali, contraffatti, furtivi, sfacciati, queruli, segreti. Appassionati.
Non ci si crede ed è giusto. Le parole dette, ascoltate, non passano senza cambiare, e quindi dov’è il nostro tessere comune le età che si intrecciano e confondono i ricordi bambini perché l’amore è eterno in avanti e anche indietro e sappiamo che tutto era pronto ad allinearsi fin dal principio, e infatti è capitato proprio a noi così sì questo possiamo raccontarlo. Non la fine di un amore. Per quello non abbiamo le parole.
A volte si inventa un amore per coprire il dolore. Che l’amore sia finito. Che non ci sia mai stato. Che non lo abbiamo coltivato. Scivolato nella distratta virtuosità dei giorni, sbriciolare promesse, non conta nemmeno la disciplina, piccolissime assenze diventano oltraggio, non visti, non sentiti. E poi le attese e nessuno si accorge che intanto finisce. L’amore finisce?
Come si fa, come si fa?
E così tutto dice che l’amore è tutto.
Avvenire, 28 aprile 2012

amore (3)

A volte è amore finito. O almeno lo sembra proprio. Ma può finire l’amore?
Tante parole che viaggiavano insieme. A gara per dirsi in coppia, quella dell’uno che arriva appena prima di quella dell’altro. Vite allineate.
Anche i pensieri viaggiavano insieme, intrecciati, l’uno che inizia, contamina, avvinghia il pensiero dell’altro, ci fa una glossa, ci gioca, lo conserva, lo custodisce.
E poi viene il giorno in cui tutto tutto è babele, anche il silenzio diventa straniero.
Amore che non si riconosce più. Non rimane perché non lo si è avuto, forse, o non ci è dato di saper cosa sia. Ci dicono che è fidarsi e non aver paura. Dono che non perdo perché lo conserva l’altro per me. E così è mio e nostro. Promessa in cui credo. Possesso che non chiedo. Vita ritrovata ogni mattina.
Capita che non si sia avuto mai. Un pezzo di vita che manca, passaggio d’umanità dovuto eppure non avuto. Allora non si può proprio credere all’amore. E così è sgangherato il sentire, eppure nella malinconia infinita che rimane, o anche nell’ossessione che chiamiamo odio quando capita, oppure nel correre in cerca di un altro e poi un altro amore, resta quel che l’amore promette, quel che l’amore ha promesso: abitare l’eternità, anticipo di quel che sarà.
Avvenire, 27 aprile 2012