ritratti dal Calvino: Mariapia Veladiano

Ritratto di Mariapia Veladiano, di Davide Lorenzon per Cartaresistente

Da Cartaresistente

Mariapia Veladiano è nata a Vicenza nel 1960. Dopo essersi dedicata con passione all’insegnamento, attualmente è preside di una scuola vicentina. Nel 2010 si è aggiudicata la vittoria nella 23°edizione del Premio Italo Calvino grazie all’opera “Memorie mancate”, diventata poi nel 2011 il bellissimo romanzo “La vita accanto” edito da Einaudi Stile Libero, che l’ha portata in finale al Premio Strega. Oggi è una delle scrittrici più amate del panorama italiano e i suoi articoli appaiono periodicamente su riviste e quotidiani. La ritroveremo in libreria a partire dal 28 gennaio con “Una storia quasi perfetta”, edito da Guanda.

Prima di qualsiasi altra cosa, puoi raccontarci il tuo rapporto con i libri e con la scrittura?
Allora partiamo dal fatto che sono stata una lettrice appassionata. Da piccola mi perdevo nei libri e provavo a scrivere storie simili a quelle che leggevo. Mi piaceva inventare mondi e come tutti i bambini sognavo di essere io la protagonista di tutte le storie. Scrivere mi è sempre piaciuto anche perché mi riusciva facile, facile rispetto alle richieste della scuola, ad esempio, e le soddisfazioni arrivavano senza sforzo. È una sensazione bellissima quella che ci accompagna quando le parole si scrivono quasi da sole. Tutti i bambini intorno fanno sforzi tremendi per scrivere qualcosa e noi invece no, scriviamo e scriviamo. Poi è arrivato un altro tipo di scrittura. Scrivere per capire quel che mi capitava e per trasformarlo anche. Raccontare storie che intercettano le vite degli altri e ne trovano il comune segreto. Segreto perché non sappiamo chiamarlo per nome ma lo sappiamo riconoscere se qualcun altro lo nomina. Qui la scrittura è diventata molto più faticosa. Una bella fatica, ma del tutto diversa dalla spontaneità con cui si scrive da bambini.

Parlaci del manoscritto che hai inviato al Premio Italo Calvino: com’è nato e perché l’hai scritto?
La storia di Rebecca bambina che si sente bruttissima è arrivata proprio da sola. Del resto ho scritto sempre così, con la libertà di chi non ha in mente di pubblicare e si dedica alle storie che scrive per riscriverle più avanti e poi ancora riscriverle e ogni tanto rileggerle. Però a posteriori riconosco di avere raccolto dai ragazzi, dal mio vivere a scuola, una crescente paura di non essere accettati, un rischio epocale di esclusione, una specie di cattivo segno dei tempi. Viviamo un’epoca “giudicante”. Tutti spettatori davanti a uno schermo, seduti, pronti a giudicare secondo canoni rigidi e costruiti. Non è facile vivere così. Rebecca lo racconta. “La vita accanto” è stato scritto in molto tempo, a pezzi, un pensiero alla volta. Proprio niente a che vedere con la scrittura vorticosa di quando si è bambini.

Qual è stato il percorso che ti ha portato fino al Calvino?
Nel 2010 ho compiuto 50 anni. Un piccolo trauma. E mi è venuto il pensiero di provare a vedere se a qualcuno potesse interessare quel che scrivevo. Forse un bisogno di conferma di valere, chissà. O forse ho superato la paura del giudizio. Sulla scrittura, voglio dire. Ho scritto molto prima. Racconti, qualche romanzo tutto intero, poesie. Ma non avevo cercato la pubblicazione. Difficile dire che cosa spinge davvero a esporsi attraverso la scrittura. In realtà io vivevo già da anni una piccola esposizione, ho lavorato per Il Regno, ho fatto la redattrice di un settimanale, ma si trattava di scrittura di servizio. La narrazione espone molto di più. È una consegna di sé al romanzo e non per il banale motivo che sempre quel che si racconta passa attraverso la propria vita e ne conserva la traccia, ma anche perché tutto proprio tutto è nostro in un libro, ogni parola scelta, ogni nome, ogni luogo. È uno squadernamento anche quando ci si nasconde programmaticamente.

Come hai vissuto la partecipazione al Calvino?
In realtà avevo un mare di pensieri. Io non credo a chi racconta di avere inviato un manoscritto e di averlo poi dimenticato. E’ proprio una piccola o grande consegna di sé. Io non pensavo di essere segnalata né di vincere ma speravo. La premiazione è stato un momento intenso. Non conoscevo assolutamente nessuno, ero arrivata a Torino da sola, non avevo amici né conoscenti. È stato facile essere accolta. In realtà i “lettori” e giudici del Premio costituiscono un gruppo molto eterogeneo ma capace di rapporti di amicizia vera. Da allora non ci siamo persi più. E ho relazioni di amicizia e affetto anche con i finalisti di quell’anno: Antonio Bortoluzzi e Pierpaolo Vettori ad esempio. Che poi hanno pubblicato e continuato a scrivere.

A seguito della vittoria è arrivata la pubblicazione; quale effetto ha avuto su di te l’ingresso nel mondo dell’editoria in veste di scrittrice?
L’arrivo in Einaudi è stato un vortice. Non sapevo che cosa aspettarmi, non avevo nessuna esperienza di case editrici e pubblicazioni. Non conoscevo nessuno. Einaudi Stile Libero ha creduto molto nel libro, un bel lavoro di squadra. Ho imparato a mettere in fila periodicamente le cose importanti, a riassumermele, perché l’esposizione improvvisa può diventare pericolosa, far perdere l’equilibrio. L’età mi ha aiutata.

Dopo l’esordio è cambiato il tuo rapporto con la scrittura?
Un poco sì è cambiato. È cresciuto il peso di uno sguardo esterno sulla scrittura. Scrivere sapendo di non pubblicare ci lascia più liberi. Poi arrivano le scadenze, i tempi da rispettare. Il fatto di non essere una scrittrice “seriale”, si può dir così? Cioè di scrivere storie molto diverse fra loro, dà un senso di esordio ad ogni uscita. Un doversi chiedere: e questo romanzo come sarà accolto? C’è da dire che intanto erano cambiate altre cose nella mia vita. Nei mesi del Calvino ho anche vinto il concorso per fare la preside, in Trentino. Un’esperienza bellissima in una regione che ha uno straordinario reale attento interesse per la scuola e che è un laboratorio continuo di sperimentazione didattica e anche organizzativa. La mia vita ha avuto una accelerazione impensata.

Di recente il tuo romanzo “La vita accanto” è diventato uno spettacolo teatrale. Com’è avvenuto il passaggio dalla pagina scritta al palcoscenico?
Quando un libro diventa teatro cambia natura, diventa un’altra cosa. Il romanzo è diventato un monologo. È stato riscritto dalla poetessa Maura Del Serra, quindi una scrittura d’artista, straordinaria. Un monologo vive completamente della identificazione con l’attrice che lo interpreta. Monica Menchi, che lo porta in teatro, ha una personalità fortissima, fin dalla prima battuta molto più potente rispetto alla voce di Rebecca nel libro. È giusto così. Io non ho avuto alcuna parte nella trascrizione teatrale e anche questo è giusto che sia così.

È vero che hai una passione particolare per il colore azzurro?
Sissì. Amo l’azzurro e ho proprio chiesto che ci sia nelle copertine. Ma sono stata sempre fortunata perché tutti gli editori, Einaudi per i due romanzi, Rizzoli per il giallo per ragazzi, e ora Guanda, mi hanno sempre coinvolta nella scelta delle copertine. La finestra de “La vita accanto”, con la tenda che vola nell’azzurro, è assolutamente perfetta. E’ tutta di Riccardo Falcinelli, splendido creatore di quasi tutte le copertine di Einaudi Stile Libero. E’ completamente sua anche quella di “Ma come tu resisti, vita”. Io ho solo chiesto che fosse la coda di un pavone bianco, simbolo di resurrezione, perché il libro racconta le mille resurrezioni di cui possiamo diventare capaci anche quando non lo sappiamo. E lui ha inventato questa coda che è anche un’esplosione, di vita appunto. Per “Il tempo è un dio breve” ho proposto un dipinto di un pittore giapponese che amo, Yamaguchi Kayo. Ed è lo stesso della copertina del prossimo libro. L’unica senza azzurro, ma era ben tempo di cambiare, altrimenti il lettore pensa che sia sempre lo stesso libro!

Il successo letterario ha in qualche modo cambiato la tua vita?
Tutto molto veloce, ecco. Ho difeso bene la mia vita dalla eccessiva esposizione, ho viaggiato molto con il libro evitando per quanto possibile le occasioni di esposizione impropria. Ma è davvero oggi tutto troppo compresso.

A gennaio sarai in libreria con “Una storia quasi perfetta”. Qual è il tema del tuo nuovo romanzo? E dove potremo incontrarti?
È una storia di seduzione. C’è una donna, l’incanto della sua arte, lei disegna, e soprattutto della sua vita, rinata già una volta. C’è un uomo, presente dall’inizio alla fine. Il romanzo è quasi un duetto. Torna Vicenza, come nel primo romanzo, luoghi nuovi della città, che continua a non essere nominata. Le prime presentazioni saranno a Vicenza, Roma, Milano. È bello accompagnare i propri romanzi, incontrare i lettori e farsi restituire da loro la storia, diventata diversa attraverso la loro vita.

Da Cartaresistente, 12 settembre 2015

Ritratti dal Calvino, in collaborazione con Premio Italo Calvino
Interviste di Ella May, ritratti di Davide Lorenzon