Perché la scuola pubblica è pagata dalle famiglie?

I CONTI DELLA SCUOLA PUBBLICA

Gentile ministro Francesco Profumo, si può far finta di niente. E lo stiamo facendo. C´è talmente tanto a cui pensare. Le parole di una crisi tremenda come questa si affollano in una gara cupa di drammaticità: disoccupazione, fallimento, crollo della Borsa, della capacità di lottare, della fiducia. Fine. La scuola qui non c´è. Orizzonte lontano dalla politica. Numeri di bilancio da tagliare.

E infatti la scuola pubblica la pagano ormai in grandissima parte le famiglie. Soprattutto, ma non solo, quella dell´istruzione obbligatoria, elementari e medie, le cui risorse sono state strangolate senza pudore a partire dalla legge 133 del 2008, Legge Brunetta, che, inconsapevole capolavoro di burocratese borbonico e antifrastico, suonava così: “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica, la perequazione tributaria”. L’articolo 64 dettava le cifre dei tagli, in tre anni. Il ministro Gelmini li ha chiamati “riforma” e le famiglie hanno pagato. Stanno pagando. Il “contributo delle famiglie” è una voce di bilancio senza la quale non si farebbe quasi nulla a scuola: vale almeno la metà delle entrate, spesso di più. Permette il funzionamento puro e obbligatorio. Ma non può continuare così, perché la crisi c´è anche per le famiglie. Il governo deve sapere che la scuola esiste.

È un mondo: quasi nove milioni di ragazzi che nello studio cercano di sciogliere quel groviglio di desideri e paure che segnano la loro vita in costruzione e che provano a diventare quel che desiderano. È un mondo che ha ancora, lo dice l´ultimo rapporto Istat, miracolosamente, la fiducia delle persone. E questo vuol dire che le famiglie sono più sagge dei governi. Sanno che in tempo di crisi i soldi meglio spesi sono quelli per l´istruzione. Vuol dire che le famiglie credono nel futuro ancora. E che hanno visto e fatta propria la civilissima resistenza vissuta dalla scuola in questi anni di assalti. Fino ad oggi i governi hanno dissipato in modo irresponsabile questo patrimonio di fiducia. Ma c´è un´attesa, una bella attesa sulla scuola.

E ci vuole un atto di coraggio. Qualcosa, a livello statale, che somigli a quello che in Trentino si chiama Fondo qualità e che nemmeno la crisi economica ha messo in discussione. È un investimento che va all’incremento dello studio delle lingua, all’integrazione degli stranieri, ai ragazzi con bisogni educativi speciali, agli interventi che migliorano la qualità, appunto. Proprio ora si investe sull’equità e sulla cultura. E in Trentino i libri sono del tutto gratuiti fino alle medie, e alle superiori possono essere dati in comodato d´uso.

La crisi la si deve intaccare da molti lati. Quello della scuola non può essere lasciato alle famiglie. Una scuola che moltiplica l’iniquità non è solo indegna, è anche pericolosa, perché prepara l´esplosione della società. Coltivare la scuola vuol dire coltivare qualcosa che ci serve ora e sempre: la speranza che la via d´uscita dal presente buio sia ancora nelle nostre mani. Che il futuro ci appartenga ancora.

da La Repubblica, 18 gennaio 2012

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