le donne di papa Francesco

E ADESSO le donne. Si sta limpidamente disegnando una strada, questo Papa. Prima un nome, Francesco, da cui non si può tornare indietro. Impossibile decidere liberamente di chiamarsi Francesco e poi far finta di niente. E infatti. Poi, subito dopo, i non credenti. Il nostro mondo ne è pieno e lui li ha improvvisamente visti. Non come pecorelle da riportare al covile, ma come espressione di una legittima, razionale, onesta possibilità della nostra vita. E adesso le donne.

Alla seconda udienza generale, con l’ urgenza irrituale che porta fuori dal foglio scritto, parole dette con ancora gli occhi di tutto il mondo addosso. Perché le donne? Perché abitano con impensabile pervasività l’ Antico Testamento e il Vangelo, ad esempio. Oltre che il mondo, naturalmente, e la comunità credente, soprattutto quella cattolica. Gli uomini a messa la domenica sono ormai casi spirituali felici e solo una colossale operazione di rimozione, se non si vuole pensare a un premeditato intento difensivo, ha potuto mantenere marginale il ruolo delle donne nella Chiesa. Oggi, sulla questione della donna al suo interno, la Chiesa è, come si dice con linguaggio teologico, in statu confessionis, ovvero sta o cade. Perché è un problema di Verità, non di laica equità (e forse già questo basterebbe).

Nell’Antico Testamento una quantità di donne hanno aperto le porte alla salvezza del popolo ebraico. Nei modi più irrituali, anche loro. Come Giuditta che dalla sponda di una fede che i maschi di Betulìa non sanno immaginare, libera, inaudita, con l’ arma di una bellezza provocante e profana, salva l’ intera città. Salva i bambini che cominciavano a morire. Fino a Maria del Vangelo. Ha avuto per prima Dio fatto bambino fra le sue braccia, ne ha saputo la verità di corpo da difendere, affidato a tutte le cure, da tutti dipendente. Lo ha cresciuto come figlio per il quale preoccuparsi, incomprensibile come ogni figlio, altro da sé, come ogni figlio, come Dio, e ha saputo, come solo una donna sa, la suprema offesa della morte di un figlio, del corpo morto di Dio. Offesa alla promessa che la vita porta inscritta. Infinita offesa all’ idea di Dio infinitamente vita. Donne comuni e come tutte speciali hanno seguito Gesù nella libertà impensata di partire e uscire dal loro ruolo scolpito dalla storia disegnata dai maschi. Altre donne hanno saputo per prime che la morte non è l’ ultima parola, perché non hanno avuto paura di seguire la furia degli uomini che mettevano a morte, e poi di vedere e di raccontare. Raccontare la Risurrezione. Parole di vita. Questo ha detto Papa Francesco: «Le donne nella Chiesa hanno un ruolo particolare, aprire le porte al Signore». È tutto, assolutamente tutto. La lunga stagione della teologia femminista che aveva raccontato i limiti scandalosi di una teologia “naturalmente” al maschile è finita senza lasciare il più atteso dei risultati, ovvero la strada di una condivisione della responsabilità nella Chiesa che non passi attraverso il genere e attraverso l’ ordine sacro. Ed è stato facile confondere e mescolare le cose. Niente sacerdozio alle donne, niente corresponsabilità. La teologia femminista accusata di finire nei rivoli delle rivendicazioni.

Difficile oggi continuare a far finta di niente davanti a una Chiesa fatta soprattutto di donne credenti, catechiste, animatrici liturgiche, teologhe, del tutto rappresentata nei ruoli della responsabilità da un mondo di uomini. In abiti, in fondo, piuttosto femminili. E al di là di tutto quel che di storico e sacro si può dire su questo, non potrebbe essere semplicemente la traccia di una verità rimossa che non può tacere? Non serve una nuova teologia femminista, serve solo una teologia onesta fino in fondo, libera di vedere tutto il femminile del Vangelo, di darci quello che fino a ora non abbiamo avuto della verità tutta intera, un mondo nuovo possibile solo se gli uomini sono liberi dalla paura. Di perdersi perdendo un ruolo che hanno colpevolmente o no costruito come esclusivo. Serve una libertà nuova. Ci si perde come uomini e come cristiani se si continua così.

Invocare la tradizione della Chiesa per impedire la parola che cambia vuol dire lasciare il campo alla paura. La tradizione ha il senso profondo di riconoscersi figli nella fede millenaria di chi ci ha preceduto e non dèi solitari e spavaldi. Ma la verità che oggi i cristiani vivono è figlia di altre impensabili rotture. Il divino pensato altro dal mondo e immortale e eterno si è fatto uomo. È morto e ciò che è pensato morto per sempre è invece risorto. Possibile che davvero l’ unica cosa che di impronunciabile rimane nella chiesa sia un nuovo ruolo della donna al suo interno?

Da La Repubblica.it, 4 aprile 2014

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