delusione

La delusione arriva lenta. Si insinua e striscia. Non la sentiamo e poi è lì. Ce la dà l’altro. Gli altri. Tanti. Non mi hanno guardato, detto. Non hanno capito. Ascoltato. Non hanno intuito. Nessuno ha visto. E io a sperare, anticipare. Che venga qualcuno. Che mi telefoni. Mi dica le parole che ho immaginato. Così semplici, limpide nella mia fantasia.
E invece no, silenzio. E diventa tumulto il pensiero.
E la pace che non sa arrivare più, delusione come ossessione di uno sguardo ormai solo su di me, ormai sfida allo sguardo dell’altro, infinito attendere sempre più cattivo, e doloroso, e tremendo nel suo implacabile bisogno.
Come può il mondo non accorgersi? Che il respiro è corto, non va oltre la mia frontiera, confine murato, come usa oggi in terre già rese deserto.
Chi sto deludendo oggi, nella mia vita chiusa, stamattina, prima ancora di non fare, non dire, non vedere? Qualcuno di cui so il
nome e diminutivo, inchiodato all’attesa, fosse pure di una parola chiara, che finalmente chiude un
sogno che non era nato davvero, e può lasciare spazio a un altro che non si conosce ancora.
C’è un potere triste nel deludere, un promettere più di quel che si può, un dire meno di quel che si deve. Un trattenere la parola e il gesto che sul campo lascia solo vinti.
Avvenire, 10 aprile 2012
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